Sport, Stereotipi, Queer e femminismo

Kaig Lightner, 37 anni, a capo del Portland Community Football Club, ha fatto coming out come uomo transgender con i ragazzi della squadra, non solo per un bisogno personale di autenticità, ma soprattutto per schierarsi contro gli stereotipi di genere nel mondo dello sport.

“Qualcuno di voi potrebbe saperlo e qualcun altro no, ma io sono una persona transgender. Questo significa che sono nato in un corpo femminile, e che sono cresciuto giocando a calcio da calciatrice. E questa non è una cosa che condivido spesso con altri sportivi perché non è una cosa semplice da dire. Abbiamo un sacco convinzioni, nel mondo dello sport, su come debbanno giocare i ragazzi e come debbano giocare le ragazze. E questo non è giusto.”

Lightner ha avuto una risposta incredibilmente positiva dai suoi giocatori e dai loro genitori.

“La cosa più bella è che è stato tutto naturale. Quel giorno ho allenato come al solito e i ragazzi hanno giocato come sempre.”

E la cosa più sorprendente è stata che, alla domanda “Avete domande?”, i ragazzi gli hanno chiesto quale fosse la sua età.

Nessun riferimento alla sua identità di genere.

“I ragazzi sono fissati con la mia età perché dimostro molto meno degli anni che ho. Li adoro!”

Kaig spera che il suo coming out contribuisca alla visibilità transgender nel mondo dello sport.

“Spero che le persone comincino a riflettere sul genere e sul suo significato. Tutti abbiamo un’identità di genere ma pochi sono costretti ad analizzarla per capirsi fino in fondo. Spero che questo video apra una riflessione, faccia venire delle domande, soprattutto tra gli atleti, gli allenatori, gli insegnanti e i genitori.”

Il video,  si chiama Authenticity

Questa storia mi ha richiamato alla mente un episodio della mia infanzia.

Quando frequentavo le elementari fu organizzato un torneo di calcio tra scuole.

Io ero molto bravo, gli altri bambini mi facevano giocare con loro ed ero sempre tra i primi ad essere scelto quando si formavano le squadre.

La maestra mi trattava come se non fossi né una bambina né un bambino.

Una delle prime battaglie che vinsi, anche e soprattutto grazie a lei, fu quella di abolire i grembiuli – divisi per sesso – e di far indossare la tuta a bambini e bambine. Non potevo sopportare l’idea di portare un grembiule da bambina.  Lei aveva intuito qualcosa.

C’erano i bambini, c’erano le bambine ed io ero una creatura particolare.

L’anno del torneo mi vidi negare la possibilità di partecipare perché ero una bambina.

Le mie proteste furono così forti che lei mi prese per mano e, insieme, fece con me il giro di tutte le classi per vedere se ci fossero altre bambine con il mio stesso desiderio. C’erano. E c’erano anche nelle scuole dove spargemmo la voce.

Nel 1985, a Pesaro, ci fu il primo torneo di calcio femminile delle scuole elementari. Il primo, almeno a memoria dei miei genitori e dei miei nonni.

In un momento della mia vita in cui ero consapevole di non far parte di nessuno dei due sessi, contribuì alla parità di uno.

Questo è stato il massimo che ho potuto fare, non avendo le parole e i concetti per descrivermi.

E poi mi dicono che femminismo e queer non hanno istanze in comune…mi viene da sorridere.

Articolo di Ethan Bonali