Identità di genere non-binaria, orientamento sessuale e sessualità: Myles Cyrus e non solo.

Privato Pubblico

La cantante Myles Cyrus, 24 anni, si è dichiarata agender e pansessuale.

Che cosa significa essere Agender?

Significa non identificarsi né come uomo né come donna, che è una cosa diversa dall’essere genderfluid – che significa identificarsi, in momenti differenti, come uomo e come donna (l’argomento andrebbe approfondito poiché le definizioni sono riduttive ed in continua evoluzione)- significa non identificarsi in nessuno dei due generi.

La cantante dichiara:<<Non mi sento una ragazza, e non mi sento un ragazzo. Non mi sento di nessun genere. Sono un po’ mascolina, ma posso anche essere estremamente femminile. Non scelgo le persone con cui avere una relazione in base al sesso, sono pansessuale.>>

La coppia formata dalla cantante e dall’attore Liam Hemsworth, veniva definita come coppia eterosessuale basandosi sulle apparenze.

 

Andare oltre le apparenze

Questo è un esempio, non solo di eterosessualità obbligatoria – ovvero l’atteggiamento mentale che dà per scontato l’orientamento sessuale di una persona – in questo caso di una coppia – come eterosessuale ma anche di obbligatorietà del genere (se ne parlava con la bravissima attivista Silvia Selviero di FtM Italia), perché le due star vengono automaticamente classificate come persone cisessuali – a proprio agio con il genere che gli è stato assegnato alla nascita.

Siamo abituati a non riflettere sul genere.

Il delicato processo che porta al riconoscimento di sé è complesso.

Ed anche se è giusto separare orientamento sessuale, identità, ruolo ed espressione di genere nell’ambito della comunicazione, dovremmo ricordare che il genere è una realtà – a me piace pensarlo come processo critico continuo su di sé, sulle costruzioni sociali e sul simbolico di una cultura. Dal sé alla collettività – in cui questi fattori non sono così indipendenti tra loro, né così permanenti e definiti dalla biologia.

Ancora dal Privato al Pubblico

Dico questo perché, in quella che definisco – per autodeterminazione – la mia transizione mentale e sociale – che può essere seguita o no da una terapia ormonale e/o da interventi chirurgici – tutto è stato profondamente messo in crisi, analizzato e trasformato.

E questo processo di transizione può – anzi dovrebbe – riguardare tutti.

Il Queer – i cui punti di contatto con le pratiche femministe radicali italiane degli anni ’70 e con il femminismo intersezionale sono molti, importanti e confluenti – riguarda chiunque metta in discussione il genere in quanto norma, non solo la comunità lgbtqipa+.

Ricordo che quando ho iniziato a pensare alla transizione – quella volta in senso canonico e binario – mi sono rifugiato nel modello, apparentemente unico, di uomo. Per capire chi volevo essere ho esplorato quello che “doveva” essere il mio opposto. Ebbene, non ero né donna né uomo, o ero entrambi.

E questo ha portato ad evoluzioni veramente interessanti e, dal mio punto di vista, benefiche.

Non definendomi né uomo né donna ho scardinato la costruzione eteronormativa, ho fatto saltare il banco della sessualità.

Le identità di genere non-binarie contribuiscono in maniera decisiva a decostruire l’opposizione eterosessualità/omosessualità – che cancella anche la bisessualità e che tanto stigma ha creato su questo orientamento sessuale – e mettono in discussione anche la costruzione della sessualità eteronormata, scardinano la differenza sessuale, l’immaginario maschile sul femminile e quello del femminile sul maschile.

Ed è quello che mi è successo: mi sono liberato delle pratiche che rendevano il sesso piacevole ma limitato e limitante. Attraverso l’esercizio del genere – perché il genere si fa – attraverso il corpo ho capito cosa è il corpo.

La mia rivoluzione sessuale è la liberazione di tutte le parti del mio corpo, dei loro nomi, del loro piacere. E questo mi ha aiutato tantissimo anche a gestire la disforia che era, invece, aumentata in alcuni ambienti di attivismo trans “antibinario” (ahimè si) che, invece di aiutarmi, esercitavano una pressione normativa giudicando la mia disforia e tentando di ridicolizzare la mia mascolinità dicendomi che “stavo scheccando”, “che avevo comportamenti da lesbica”, “che l’avevo fatta annusare”, che parlavo troppo poco della mia disforia.

Rivoluzione Queer e Femminista

La mia rivoluzione l’ho fatta da solo. E’ una rivoluzione queer e femminista.

Sono partito da un orientamento eterosessuale per arrivare a definirmi pansessuale. Molti affermano che la terapia ormonale possa “far cambiare” l’orientamento sessuale: peccato che io non abbia ancora assunto ormoni.

Sono partito con l’identificarmi completamente con il genere opposto per scoprire di essere libero da entrambi e di essere entrambi.

Sono partito da una espressione di genere fortemente maschile per arrivare a liberarla dal genere.

E tutti questi aspetti si sono influenzati. Un cambiamento in uno determinava, e determina, un cambiamento negli altri.

Non è una fase, né significa che devo ancora “stabilizzarmi”. Questo è il mio genere.

Non sono convinto, e credo sarà così, che la mia transizione avrà mai un termine, anche se dovessi scegliere di intervenire chirurgicamente sul mio corpo – il mio corpo che è un alleato e non una gabbia. Il mio corpo che è cambiamento. – proprio perché esercito quello che per me è il genere: un processo critico di analisi, cambiamento e azione.

 

 

E questo non riguarda solo me, solo le identità transgender, ma tutti.

Le nuove soggettività incarnano una grande critica e riflessione sul genere come è stato costruito fino ad ora.

Il femminismo non è solo per le donne, il queer non è solo per le persone lgbtqiap+.

Articolo di Ethan Bonali